Diritto naturale e «principio di piacere».
Il nostro primo pensiero – da sempre: non nell’infanzia ma dall’infanzia – è un pensiero di natura: la vita psichica, morale ed economica, vive di «diritto naturale ». Che significa questa incomprensibile espressione, che malgrado tutto preferiamo riabilitare anziché respingere? Significa il diritto – parola che significa «tutti» – di un’altra cittadinanza. Come c’è cittadinanza italiana, inglese, francese eccetera, nel diritto che la istituisce, cosi c’è un’altra cittadinanza in un altro diritto che la istituisce: qualsiasi lingua si parli in questa, non può essere che la lingua parlata con la lingua che abbiamo in bocca, non un esperanto mortificante questa ne una pretesa lingua telepatica né il non meno preteso «linguaggio» matematico e meno ancora il più pretenzioso «linguaggio» digitale.
Il diritto di natura non è dunque ne l’anticamera riformista, reale o fittizia, del diritto statuale semper condendum, né la fonte ideale-morale di un’opposizione a esso, o rivoluzione di esso oppure di una limitazione del suo potere. Cioè la problematica sia rivoluzionaria sia liberale giusnaturalisticamente «fondata», con in mezzo sempre in agguato la possibilità sarcastica dell’anarco-collaborazionismo: punta di diamante di quello che chiameremo «diritto naturale astratto», il nemico tanto del diritto naturale quanto dello Stato. Non si da che un Soggetto – il cui concetto è sempre giuridico: ma tutto è stato fatto in Psicologia, e anche in gran parte del mondo psicoanalitico come pure in quello religioso, perché questo concetto fosse annullato – non sia cittadino di due distinte Città. È ciò che la fondazione e la storia contemporanea della Psicologia ha rigettato, ricusando la nozione, quantunque vetusta e non sviluppata da chi avrebbe dovuto farlo, di «anima» come forma: nozione che noi sviluppiamo e decidiamo come legge di moto del corpo. Non c’è legge umana che come legge del moto dei corpi umani: che è legge aut secondo aut contro la soddisfazione – tertium non – che è soddisfazione cioè meta cioè conclusione del moto del corpo stesso. Una legge di moto dei corpi umani è un legame sociale: non si svolge dentro un legame sociale anteriore o superiore a essa, cioè astratto rispetto a quella legge di moto. La «vita psichica», fin negli affetti, è una vita di rapporti, e di rapporti con l’universo, cioè è una vita giuridica. Questa la nostra novità, che nessuno aveva detto.